Gabriella Benedini. Athanor

DOVE

Gallerie d'Italia - Milano, Sala delle Colonne

QUANDO

Dal 15 settembre al 6 novembre 2022

Da martedi a domenica dalle 9.30 alle 19.30, il giovedì fino alle 22:30

Lunedì chiuso

Ultimo ingresso: un’ora prima della chiusura

BIGLIETTI

Intero 5 €, ridotto 3 € per over 65, under 26; gratuità per convenzionati, scuole, minori di 18 anni, dipendenti del Gruppo Intesa Sanpaolo

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Le Gallerie d’Italia di Milano presentano dal 15 settembre al 6 novembre 2022 la mostra “Gabriella Benedini. Athanor” a cura di Paolo Bolpagni.
La mostra vuole essere un ulteriore sviluppo nella personale ricerca artistica di Gabriella Benedini, protagonista della vita culturale milanese fin dall’inizio degli anni sessanta.

L’arte di Gabriella Benedini, nata a Cremona nel 1932, è intessuta di memorie e suggestioni: i temi del viaggio (fisico e spirituale), dell’interrogazione delle stelle, della trasmutazione della materia e degli elementi, della sete di conoscenza sono centrali nel lavoro di Gabriella Benedini. A rivelarlo è anche il titolo prescelto per la mostra, athanor, che rimanda proprio al mondo dell’alchimia ed è ripreso da un racconto di Jorge Luis Borges, La rosa di Paracelso, che ha per protagonista l’imperscrutabile figura del medico-scienziato tedesco del Cinquecento.
Accanto a 24 opere dell’artista, è protagonista alle Gallerie d’Italia la Biblioteca, un corpo compatto, ermetico, color Gris de Payne, che si manifesta nella propria enigmatica e incombente presenza. Sugli scaffali sono ordinatamente posizionati trecentosessanta “libri” (in realtà indecifrabili contenitori), all’esterno tutti uguali. Non contenitori qualsiasi, come ovvio, ma speciali, delle medesime dimensioni: due coperchi che, aprendosi, schiudono mondi inimmaginabili, sorprendenti, ma che restano celati all’osservatore. Uno solo, spalancato, è posizionato su un leggìo.

Tra le opere in mostra, le ormai celebri Arpe di Gabriella Benedini (fra cui tre della collezione di Intesa Sanpaolo), sculture polimateriche che, come scrisse Gillo Dorfles nel 1992, «colmano d’una loro “sonorità spaziale”» l’ambiente in cui sono collocate, ispirando la sensazione di «note – arcane, impercettibili, inafferrabili da orecchie umane».